GAUGUIN & LAVAL in Martinica, Van Gogh Museum • Amsterdam
“Siamo sistemati in una capanna ed è un paradiso a due passi dall’istmo. Davanti a noi il mare e alberi di cocco, sopra di noi alberi da frutta di ogni specie (...). Negri e negre vanno in giro tutto il giorno con le loro canzoni creole e un eterno chiaccherio, che non è monotono, ma, al contrario, molto vario (...). Una natura ricchissima, un clima caldo, con frescure intermittenti”.
Parole di Gauguin riferite a se stesso ed all’amico Charles Laval giunti, entrambi, all’isola della Martinica nell’anno 1887, dopo aver già condiviso un sodalizio pittorico e umano ed esperienze di comune ricerca artistica nel primo soggiorno bretone a Pont-Aven, nella pensione di Marie-Jeanne Gloanec amica degli artisti.
Dalla loro permanenza in Martinica durata, soltanto, poco più di quattro mesi, ne sortì una pittura nuova rispetto all’impronta impressionista degli esordi e che insieme avevano iniziato a rielaborare fin dalla svolta di Pont-Aven ma che, ora, qui nel paradiso caraibico a due passi dall’istmo di Panama, sembra incominciare ad assumere l’assetto caratteristico della loro cifra definitiva quella che, in particolare, Paul Gauguin, perseguirà dal suo ritorno in Bretagna in poi, rendendosi infine riconoscibile, a torto o a ragione, come il pittore dell’esotismo primitivista immortalato, con inimitabile potenza espressionistica, nei dipinti di Tahiti e delle isole Marchesi.
In verità, ciò che subentra alla pittura analitica, corrispondente all’esercizio di un sensorio ottico sensibilissimo alle variazioni atmosferiche della luce e alla fugacità percettiva degli istanti, è una pittura sintetica della memoria. Nell’epoca della scoperta della fotografia, Paul Gauguin si dichiara affatto disinteressato alle sperimentazioni da “piccoli chimici” dei neoimpressionisti come Georges Seurat o come Paul Signac.
I paesaggi naturali e umani della Martinica sono ritratti prima di tutto nella memoria, vissuti dentro e rivisitati, quasi, ricomposti in una sintesi interiore. Il modo di operare di Gauguin e Laval è chiaro: dopo aver trascorso le prime due settimane a disegnare paesaggi, figure femminili e animali, questi materiali sono stati scelti accuratamente e forzosamente inseriti nelle diverse composizioni, cosicché, nonostante l’impressione di trovarsi di fronte a scene di vita reali, ci si trova di fronte alla messa in scena di una visione rappresentata nel teatro interno alla soggettività degli artisti, tanto è vero che l’elemento decorativo, per esempio, di un grafismo lineare sinuoso ed elegante tende a prevalere sulle componenti realistiche del quadro.
Si guardi in proposito l’opera di Paul Gauguin che ritrae il paesaggio costiero della baia di Saint-Pierre. Quadri come questo vogliono infondere nell’animo un senso di quiete e armonia; ciò appare evidente non solo per l’immagine in se stessa ma, sia pure, per il modo con cui linee e colori risultano impaginati al fine di concorrere alla unitaria configurazione dell’effetto ricercato, oltre che dell’impressione visiva nella sua proprietà e nella sua travolgente immediatezza.
Il profilo della baia di Saint-Pierre, con i monti ricoperti di vegetazione tropicale resa coi colori verde viola e blu, la spiaggia bianca, il mare azzurro sovrastato da un ampio cielo ingombro di vaporose nubi il cui candore, curiosamente, non si riflette sull’acqua, pur essendo bene in vista non perciò pare essere in primo piano, il quale è occupato invece dalla presenza, superbamente, tratteggiata di due grandi alberi che si incrociano al centro del dipinto, intersecando gli svettanti rami frondosi in un intricato disegno, dalla intramatura frastagliata, e che si reitera fino a diventare un sorta di verde aerea traforata ornamentale covertura di foglie, tutt’uno con il fogliame degli altri fusti simili a loro, disposti ai laterali della godibilissima scena.
Sono queste due imponenti e flessuose piante le vere protagoniste della rappresentazione pittorica di Gauguin, replicate dalle loro similari a destra come a sinistra del quadro. A destra si vede una canoa con grosse vele dalla quale la figuretta di un uomo sembra sporgersi forse nell’atto di volerne uscire, mentre un passante con un canestro di fiori sotto il braccio prosegue per la sua strada. Potrebbe darsi che il nero in procinto di uscire dalla barca sia un pescatore appena rientrato dalla pesca in mare e che ancora si attardi a rimanere dentro alla sua imbarcazione che, con molta probabilità, sembra trattarsi di un gommier; è la piroga che si chiama così perché prende il nome dall’albero dal cui tronco viene ricavata e che i martinicani appunto chiamano gommier, albero della gomma o del caucciù.
I due portentosi alberi protagonisti della scena sono due alberi della gomma, due gommiers, come quelli con i quali gli indigeni della Martinica fabbricavano gli scafi che tra mare e vento li trasportavano alla quotidiana avventura della pesca.
Poco discosta, sotto una palma se ne sta, in disparte, concentrata su se stessa, una donna seduta a ventilarsi indolentemente con un ventaglio. Un’altra figura femminile è colta nell’attimo in cui sta scendendo verso la spiaggia di sabbia bianca raffigurata alla sinistra del quadro.
La prima veduta che si offre allo spettatore è proprio lo scenario di questa riva sabbiosa animata dall’andirivieni, e dal vario chiacchierio, delle donne martinicane rappresentate nella tradizionale abitudine di reggere in equilibrio sulla testa grandi ceste contenitrici, andando o sostando, con straordinaria disinvoltura, durante le operazioni più consuete della giornata. Sono in realtà piccole siluette dalle movenze danzanti, quasi musicali.
Non sarà difficile notare un insolito particolare e cioè, chi osserva lo scenario sopra descritto non è soltanto lo spettatore fuori del quadro bensì anche un personaggio dipinto dentro al quadro, un personaggio animale.
Alla base dell’albero centrale sporgente verso l’osservatore una bianca capretta rivolge il suo sguardo incuriosito in direzione contraria, appunto, verso la scena della spiaggia che sta davanti all’osservatore stesso. La ragione per cui la presenza della capretta, come dei due alberi gommier sul ripiano di terra rosso ocra prospiciente il mare, assurge a motivo fondamentale della composizione gauguiniana consiste, forse, anche nel valore simbolico della loro immagine, in quanto immagine di semplice e spontanea armonia tra l’elemento naturale e la quotidianità dei gesti e delle attività umane.
D’altra parte, basterebbe abbandonarsi alla suggestione proveniente dai colori predominanti della tela, che sono il bianco e l’azzurro, per sentire anzi, respirare, l’aria di innocenza e di spiritualità che aleggia alla maniera di frescure intermittenti, nel clima caldo e sensuale di questo esotico paesaggio, dipinto da Gauguin.